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RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI
 

 
Comune di Castelfranco Emilia
Età del Ferro
 
 
 
 
 
CE 117.   Fondo Asmara, Casa S. Vincenzo, Podere Pradella (XIX secolo)
 
 
 
 
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Fig. 224 – CE 117. Fondo Asmara, Casa S. Vincenzo, Podere Pradella (XIX secolo). Materiali dalla tomba. VIII-VII sec. a.C. Scala 2:3.

 
 

Fig. 225 – CE 117. Fondo Asmara, Casa S. Vincenzo, Podere Pradella (XIX secolo). Coppia di morsi equini.

 
 
 
 

Tomba, ultimo quarto VIII-prima metà VII sec. a.C.
Ricerche effettuate: rinvenimento fortuito (1878); scavo archeologico, T. Costa (1881).

Nel 1881 Giovanni Gozzadini riporta, sulla base di indicazioni ricevute da Torquato Costa, la notizia del rinvenimento di reperti della prima età del ferro nel podere Pradella, a metà strada circa tra Castelfranco Emilia e Manzolino, nell'area della terramara dell'età del bronzo (CE 31). Un primo ritrovamento fortuito avrebbe avuto luogo ad opera di un contadino, che, "entro una cavità poco profonda", rinvenne una situla bronzea ed una dozzina di fibule frammentarie, anch'esse di bronzo, di cui quattro con nucleo di rivestimento oblungo in pasta vitrea (fig. 224.3-4), tre con rivestimento in osso e tarsie d'ambra (fig. 224.7-8) e due a navicella quasi foliata, decorata con fasce longitudinali alternate a linee incise e cerchielli (fig. 224.5-6). Successivamente, "in una buca fatta nella terramara" Costa avrebbe trovato "riuniti" i seguenti "oggetti del tipo di Villanova": una coppia di morsi equini, un'ascia ad alette, una lama di coltello con codolo di immanicatura, un frammento di pugnale (dell'età del bronzo), tutti in bronzo, nonché "cocci di vasi nerastri". Gozzadini ritiene che "gli oggetti del tipo di Villanova trovati dal sig. Costa e dal contadino, riuniti in due buche nella terramara, vi erano stati deposti, molto probabilmente, insieme con due cadaveri incinerati, da gente della prima epoca del ferro", riferendo quindi i materiali rinvenuti a due distinte tombe a cremazione.
Una diversa versione delle circostanze di ritrovamento viene però fornita nel 1892 da Edoardo Brizio (BRIZIO 1892, p. 221), secondo il quale sarebbe stato lo stesso Costa a riferirgli come gli oggetti fossero in realtà "collocati dentro un grande vaso di terracotta". I materiali proverrebbero dunque da un'unica sepoltura entro dolio, come conferma anche Astorre Arnoaldi-Veli, che di questo vaso-tomba recuperò due grossi frammenti, poi donati al Museo Civico Archeologico di Bologna (dove agli inizi del '900 confluirono anche i reperti recuperati da Costa), decorati a rilievo rispettivamente con un motivo a svastica ed un motivo a ruota a cinque raggi. Di questi due frammenti, che per le caratteristiche della decorazione e dell'impasto avevano già attirato l'attenzione di Brizio, darà illustrazione pochi anni più tardi Oscar Montelius (MONTELIUS 1895, coll. 431-432, tav. 94, 13-14).
Tra i materiali rinvenuti si segnalano in particolare i due morsi equini tipo Ronzano (fig. 225) con montanti a crescente lunare lavorati a giorno con precisi confronti nel territorio bolognese, e, in una versione leggermente variata, a Bologna stessa, nelle tombe Guglielmini 8 e Benacci 938 (VON HASE 1969, pp. 26-27, tav. 13, nn. 141-143, 147-148). Tipi analoghi sono però documentati, per quanto riguarda la frequenza delle attestazioni, soprattutto a Verucchio, sia in corredi maschili che femminili (VON HASE 1969, tav. 13, nn. 144-145; GENTILI 1985, tavv. VII, 27, XVIII, 23 e LV, 13; ID. 2003, tavv. 13, 42; 28, 18; 31, 17; 62, 13; 91, 25; 105, 23 (?); 116, 99-100; 120, 9 e 130,15; SALTINI 1994, tav. XLVIII, 384; BOIARDI 1994, tav. LVII, 483-484; TAMBURINI MÜLLER 2006, tav. 48, 50.3-4; Il potere e la morte 2006, p. 221, cat. nn. A111-112, schede A. Pozzi). Rispetto agli esemplari di Castelfranco e di area bolognese, quelli verucchiesi si caratterizzano generalmente per una diversa conformazione del filetto snodabile, non in verga ritorta, bensì in robusta verga liscia.
Interessante è anche la presenza di un'ascia cerimoniale ad alette del tipo Caprara o Arnoaldi, purtroppo molto frammentaria, con il caratteristico taglio falcato (fig. 224.1: entrambi i tipi appaiono caratteristici dell'area felsinea, il primo dalla seconda metà dell'VIII fino agli inizi del VII sec. a.C., il secondo nel VII sec. a.C.: cfr. CARANCINI 1984, pp. 99-105, tavv. 98-102, nn. 3409-3451), e di un coltello a base semplice o a codolo rudimentale di tipo Arnoaldi, con dorso ingrossato, ad andamento sinuoso, sottolineato da una decorazione costituita da un fascio di solchi che corre lungo esso, taglio ad andamento fortemente convesso, documentato, nelle sue diverse varianti, dalla seconda metà dell'VIII alla seconda metà del VII sec. a.C. (fig. 224.2: cfr. BIANCO PERONI 1976, pp. 86-94, tavv. 48-58, nn. 455-547).
Se si accoglie la pertinenza dei materiali ad un unico contesto funerario, si può proporre, sulla base soprattutto dei confronti disponibili per i morsi equini, di circoscrivere la datazione tra l'ultimo quarto dell'VIII ed i primi decenni o la prima metà del VII sec. a.C., nell'ambito, cioè, del cosiddetto "Orientalizzante Antico". Con questa cronologia non sembrerebbero sostanzialmente contrastare neppure le diverse tipologie di fibule documentate, né la stessa tipologia tombale, dato che l'uso di deporre i resti dei defunti incinerati ed il corredo in grandi dolii, caratteristico del Villanoviano IV, inizia già nella fase finale del Villanoviano III.
La presenza delle fibule ad arco ribassato rivestito con nucleo di rivestimento costolato in pasta vitrea e con elementi in osso e tarsie d'ambra, generalmente datate intorno alla fine dell'VIII ed agli inizi del VII sec. a.C. (cfr. Le ore e i giorni 2007, pp. 161-162, 164, 168, 170, cat. nn. 24-26, 33-39, 43, 63, 67-68, schede S. Di Penta), qualifica la sepoltura come una ricca tomba muliebre. Non contraddice questa lettura del corredo in senso femminile la presenza della coppia di morsi equini (pars pro toto per il carro), che, anzi, in ambito felsineo sembra assumere un "vero e proprio ruolo di simbolo di una condizione femminile particolare", soprattutto nel corso dell'ultimo venticinquennio dell'VIII sec. a.C. (LOCATELLI, MALNATI 2007, p. 63). Un'analoga funzione di status symbol di un rango sociale eminente della defunta potrebbe rivestire anche la presenza dell'ascia ad alette. Si può a questo proposito citare a confronto la già menzionata tomba Lippi 47/1972 di Verucchio, una ricca sepoltura femminile in dolio, nel cui corredo compaiono tra l'altro, insieme a numerose fibule variamente rivestite, appunto anche una coppia di morsi equini con montanti del tipo documentato a Pradella ed un'ascia ad alette, seppure di tipo differente.

Luogo di conservazione dei materiali: MCABO.
Bibliografia: GOZZADINI 1881, p. 431; BRIZIO 1892, p. 221; MONTELIUS 1895, coll. 431-432, tav. 94, 13-14; DUCATI 1923, pp. 38-39; Mostra Etruria Padana 1960, pp. 62-63, n. 305; SCARANI 1963a, pp. 429-430, 72 Fe 1; VON HASE 1969, pp. 26-27, n. 143A; SASSATELLI 1981-1982, p. 247, figg. 58-59, n. 432; MORIGI GOVI, VITALI 1982, p. 312; FERRI 1985-86, pp. 382-405; MALNATI, NERI 1994, p. 164; NERI 1999, p. 24, fig. 19; MALNATI, NERI 2001, p. 29; NERI 2006, p. 21, nota 13.

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